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Civiltà appenninica

Notizie sulla Tradizione

LA CIVILTA' APPENNINICA

Prima che i Greci colonizzassero la parte meridionale dell'Italia e prima che Roma sorgesse, la nostra terra era abitata da popolazioni antichissime.
I primi resti umani fossili, scoperti nel Circeo, risalgono al Paleolitico, periodo in cui l'uomo abitava in caverne, era capace di costruire arnesi vari in legno, osso e pietra, viveva di caccia, di pesca e di raccolta dei frutti nelle foreste.
Intorno al VII millennio a.C. cominciò a coltivare la terra e allevare il bestiame così entrò nella fase del neolitico.
Il passaggio all'età dei metalli iniziò nel II millennio a.C. e l'uso del rame fu introdotto in Italia grazie alla penetrazione dal nord di popolazioni indoeuropee.
Durante l'età del bronzo, mentre nel sud si faceva sempre più forte l'influenza della civiltà micenea, a nord, sorsero fiorenti civiltà. Nella pianura padana si diffuse la civiltà delle terremare, caratterizzata dalla costruzione di villaggi di palafitte e dalla pratica della cremazione dei cadaveri.
In Sardegna fiorì la civiltà dei nuraghi che si espresse nell'edificazione di costruzioni a tronco di cono che venivano utilizzate dagli uomini come abitazioni ma anche a scopi difensivi.

Sui monti dell'Italia centrale si sviluppò la civiltà appenninica la cui attività dominante era la pastorizia, quest'ultima caratterizza pienamente anche la successiva Età del Ferro (1000-550 a.C.).
A partire dal X secolo a.C., infatti, accanto alla lavorazione del bronzo si diffuse anche quella del ferro. In Emilia, in Toscana, nel Lazio e in Campania si affermò la civiltà villanoviana (IX-VIII secolo a.C.) e sorsero le prime città.
La denominazione di "civiltà appenninica" (1700-1200 ca. a.C.) venne introdotta per la prima volta nel 1931 dal paletnologo U. Rellini che dimostrò la presenza, lungo tutta la penisola italiana, di una uniforme cultura dell'Età del Bronzo, caratterizzata da uno specifico tipo di ceramica ad impasto fine decorata ad intaglio e a punteggio.
Alla fine degli anni '50 S. Puglisi pubblicava "La civiltà appenninica" sostenendo che il pastoralismo transumante fosse la principale risorsa economica di questa cultura.
L'economia dei gruppi appenninici era basata sull'agricoltura e su un tipo di allevamento in parte transumante ed in parte sedentario.
Quella che si praticava era probabilmente una transumanza a corto raggio basata sui pascoli estivi dei Monti Sabini e Reatini, e su quelli invernali della valle del Tevere.
Questa Civiltà Appenninica, la cui economia principale era caratterizzata dalla pastorizia, costituirà un'importante componente della successiva Civiltà Laziale che fino a poco tempo fa era conosciuta quasi esclusivamente attraverso necropoli e tombe. Famose infatti sono le necropoli di Grottaferrata, di Marino e Castelgandolfo (zona dei Castelli romani).Nell'area albana le conoscenze della Civiltà Laziale, negli ultimi venti anni, hanno avuto uno sviluppo sorprendente. Cappuccini, Tofetti, Albano città, Paluzzi, Monte Savello, Monte Gentile e Lanuvio costituiscono degli importanti insediamenti abitativi di questo periodo.
Dalla Civiltà Laziale, si originò lo storico popolo dei Latini, la cui capitale politica e religiosa fu Albalonga, ubicata alle spalle di Albano Laziale, sulla sponda del lago omonimo ai piedi del Monte Albano (oggi Monte Cavo).Su questo monte, ogni anno tutte le città latine celebravano nel santuario confederale di Juppiter Latiaris, le Feriae latinae.
Albalonga fu distrutta da Tullo Ostilio nel 672-640 a.C. e rimasero solo reperti degli abitati protostorici e i luoghi di culto come i sacra albana che fiorirono nei secoli successivi a ricordo della città sacra per i popoli latini e madre di Roma.
I popoli latini, a partire dal III secolo a.C. vengono progressivamente romanizzati, quindi è difficile distinguere da questa epoca la loro fisionomia originaria da quella di attori della civiltà romana.
Le città italiche acquistano maggiore importanza nel contesto romano.Contribuisce a questo loro sviluppo il forte rilancio della pastorizia sui monti circostanti e il perfezionamento della rete stradale che li attraversa.
La definitiva unificazione dei territori peninsulari realizzata dai Romani, favorì la pratica della transumanza orizzontale.In epoca romana si definì la rete dei tratturi (detti calles, e callitani erano detti i pastori transumanti), rimasta attiva fino all'inizio del secolo XX.
Altrettanto decisiva fu l'opera dei Romani per consolidare i percorsi stradali.
Nel IV secolo iniziò la progressiva cristianizzazione verso i monti.
In età longobardo-franca, la via dorsale appenninica acquistò nuova importanza (almeno per i contatti tra le capitali ducali Spoleto e Benevento); l'unificazione monarchica realizzata dai Normanni creò poi il presupposto essenziale perché essa assumesse un ruolo primario per tutto il Mezzogiorno.
Tuttavia, nell'età normanna non si era ancora creato, tra il regno meridionale e le regioni centro-settentrionali d'Italia, uno specifico collegamento di natura politica ed economica che desse impulso ai traffici a grande distanza tra i due grandi ambiti.
Ma nell'età sveva e ancor più in quella angioina (per gli stretti rapporti della dinastia francese con Firenze) e poi in quella aragonese (quando il legame più forte si stabilì piuttosto con la Lombardia) si ebbero tutte le condizioni perché quell'asse viario assumesse un ruolo primario.
Dalla seconda metà del secolo XIII all'inizio del XVI sono le aree attraversate dalla grande arteria quelle che accelerano il loro sviluppo.
Con lo scossone portato dappertutto dai moti rivoluzionari del 1799 e poi dal decennio napoleonico furono molto migliorate le due principali vie di comunicazione: in epoca murattiana fu rettificata e restaurata la "via degli abruzzi" (che perciò prese allora anche il nome di "napoleonica") sia nel tratto di montagna, sia nella Piana del Pescara, e nel 1842 fu realizzato nella Valle dell'Aventino il tracciato moderno che da Palena a Lama dei Peligni taglia diritto a mezza costa il fianco della Maiella (e fu detto perciò "tagliata").

L'unificazione politica italiana portò cambiamenti radicali, e per molto tempo essi furono prevalentemente di segno negativo. Si ebbe una crisi senza precedenti, dovuta ai seguenti processi:

1. nei primissimi anni dopo il 1860 la forte recrudescenza del brigantaggio sostenuto dalla reazione del partito soccombente;
2. l'accelerata decadenza dell'industria ovina, minata dalle trasformazioni fondiarie nel Tavoliere di Puglia e dalla concorrenza delle lane estere;
3. il conseguente esodo da questi centri della borghesia proprietaria che passò ad esercitare le professioni, e talora, solo a "vivere di rendita" nelle grandi città (prima Napoli, poi Roma e Milano);
4. la perdita di funzione e di valore della produzione artigiana rispetto alla produzione industriale;
5. la disoccupazione negli strati popolari, con la conseguente loro massiccia emigrazione all'estero (nelle Americhe) tra la fine dell'Ottocento e l'anno di acme del 1913; il fenomeno si è ripetuto dopo la seconda guerra mondiale, con flussi migratori anche più estesi e con varie destinazioni;
6. la crescente attrazione anche delle città e cittadine endoregionali; a questo potenziamento delle città e dei fondovalle contribuì decisamente la costruzione delle ferrovie.

Nello stesso periodo si colloca il maggior declino dei centri di montagna. Di questo impoverimento generale delle condizioni di vita risentì direttamente anche il patrimonio edilizio di questi centri, e un po' alla volta restarono abbandonate le residenze locali della classe agiata e istruita, la cui assenza lasciò anche campo libero alle alterazioni urbanistiche e alla deturpazione dei monumenti, facilitate, a partire dal primo Novecento, anche dall'introduzione selvaggia delle nuove tecnologie (del ferro e del cemento).
L'avvento dell'automobilismo aprì un po' alla volta nuove prospettive.
Nel dopoguerra una nuova ondata emigratoria ( negli anni cinquanta e sessanta), oltre ad impoverire di abitanti tutti i centri della montagna, ha rafforzato la tendenza al distacco dalla montagna stessa, all'orientamento centrifugo dei suoi nuclei demografici verso i centri esterni e le concentrazioni industriali di fondovalle, e ha prodotto quindi un reciproco estraniarsi di questi nuclei.
In anni ancora più vicini i processi animatori della vita di quasi tutti questi centri sono diventati: la piccola industrializzazione, nelle zone più basse, lo sviluppo turistico in quelli più alti.
Ma nei centri con spiccata vocazione turistica si sono profilate anche minacce di un'ondata finale di turismo di massa e di un processo di "espropriazione" di questo territorio da parte di forze esterne.
Tutto ciò ha decretato quasi completamente la fine della cultura agro-pastorale dell'antica civiltà appenninica.




Fara Sabina (Rieti). Villaggio di capanne, 1911.
Archivio Mazziotti.


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